Il primo Paese a muoversi è stata la Polonia che ha stabilito di concedere aiuti statali alle sole aziende che pagano tasse nei confini polacchi. Dopo la Danimarca e la Francia, i cui dettagli sui criteri e modalità di esclusione sono ancora in discussione, anche in Italia e in Svezia si è aperto il dibattito politico.
È la prima volta che si prendono in considerazione misure del genere. Nella crisi del 2008 non si era speso troppo tempo a considerare la responsabilità delle aziende e delle banche prima del salvataggio. Finalmente oggi sta emergendo un consenso sul fatto che chi riceve denaro pubblico deve essere accountable e che gli aiuti statali devono essere usati a beneficio della vera economia e per salvare i posti di lavoro, e non trasferiti verso paradisi fiscali.
Il Fondo Monetario Interrnazionale ha stimato che il 40 % degli investimenti diretti esteri sono investimenti “fantasma” veicolati attraverso società di comodo in paradisi fiscali ed il flusso di profitti che migrano verso i paradisi fiscali è stato stimato in 650 miliardi di dollari l’anno. La sola Unione Europea perde dall’elusione fiscale delle aziende dai 50 ai 190 miliardi di euro ogni anno, a seconda delle stime. Considerando che al momento il problema dell’elusione fiscale non è ancora stato risolto né a livello globale né europeo, condizionare gli aiuti statali alla responsabilità fiscale delle aziende è un importante passo in avanti.
Ci sono tuttavia alcuni limiti agli approcci in discussione nei vari Stati Membri.
Il primo deriva dalla lista di riferimento per decidere se un Paese è un paradiso fiscale o meno. Sembra infatti che le proposte avanzate facciano riferimento alla cosiddetta lista europea delle giurisdizioni non cooperative. Tale lista, come evidenziato da Oxfam in varie analisi, soffre di diversi limiti. Attualmente i paesi nella lista nera sono solamente 12 e alcuni veri paradisi fiscali, come le Bahamas, Bermuda, le British Virgin Islands e la Svizzera, sono esclusi. Un altro punto dolente della lista europea è l’assenza dei paradisi fiscali europei. Gli Stati Membri non sono infatti soggetti allo screening, nonostante Oxfam abbia dimostrato che 5 Paesi Europei (Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Olanda) hanno tutte le caratteristiche di paradisi fiscali. Basti pensare che il 90% dei profitti che lasciano l’Italia attraverso pratiche di elusione fiscale, si stima siano diretti verso paradisi fiscali europei.
Un secondo problema è invece legato all’aspetto più delicato di chi potrebbe pagare le conseguenze di un mancato aiuto statale. Un’azienda, seppur irresponsabile fiscalmente, può attualmente impiegare migliaia di lavoratori che potrebbero perdere il posto di lavoro se la società non venisse supportata. È importante in questo caso che i sussidi ai lavoratori vengano comunque garantiti e che venga data una finestra di tempo all’azienda per modificare le proprie pratiche fiscali.
Per ovviare a questi problemi, una soluzione preferibile sarebbe il cosiddetto public Country by Country Reporting, ovvero la trasparenza della reportistica fiscale delle aziende paese per paese. Gli aiuti statali potrebbero essere condizionati alla pubblicazione di tali dati da parte dell’azienda, dati che al momento sono in possesso solo delle autorità fiscali. In questo modo sarebbe possibile per tutti - politici, esperti fiscali, ricercatori, giornalisti, società civile - vedere dove le aziende pagano le loro tasse, dove fanno i profitti, e dove hanno un’effettiva attività economica. In un secondo momento, verificata la presenza di eventuali incongruenze, si potrebbe interrompere l’aiuto statale. In questo modo sarebbe possibile rilevare veramente pratiche di elusione fiscale e incentivare l’adozione di pratiche fiscali responsabili.