Un autentico muro di gomma: è quello di governo e Camera di fronte agli appelli della coalizione Lobbying4Change contro l’emendamento “salva Confindustria”, che esonererebbe le associazioni imprenditoriali e i principali sindacati dagli obblighi previsti dalla legge sul lobbying, che verrà votata la prossima settimana alla Camera.
Nonostante gli standard internazionali predisposti dall’OCSE sul lobbying prevedano che tutti gli attori che svolgono attività di rappresentanza di interessi e influenza debbano sottostare alle regole di trasparenza, la Commissione Affari Costituzionali, chiamata ad esprimersi ieri sul provvedimento, ha certificato invece che in Italia esistono interessi di serie A e di serie B.
Secondo questa interpretazione “all’italiana” di norme che dovrebbero garantire standard minimi ed equi di trasparenza, gli attori più influenti sul campo, fra cui Confindustria e i sindacati confederali, non dovranno registrare i propri incontri con politici e decisori negli appositi registri. Obbligo invece presente, secondo quanto previsto dalla proposta di legge, per le organizzazioni della società civile impegnate a difendere i diritti, l’ambiente e cause di ogni genere. Ecco quindi i “patrizi” e i “plebei”.
Questa impostazione paradossale e discriminatoria è stata sostenuta da un fronte politico molto ampio e bipartisan, composto da Forza Italia, Lega, Fratelli D’Italia, Partito Democratico, Gruppo Misto, Coraggio Italia e Italia Viva, che ha votato in Commissione a favore dell’emendamento in questione.
Come già segnalato in passato, si tratterebbe di una disposizione assurda, dato che a livello europeo non esiste nessun dubbio sul fatto che Confindustria e Cgil, sempre per citare due fra le più conosciute, debbano rispettare le stesse regole previste per tutti i soggetti che svolgono attività di lobbying. E le rispettano sennò sono fuori.
A questo punto è legittimo pensare che le associazioni imprenditoriali e i sindacati nostrani vogliano nascondere le modalità con cui cercano di influenzare le decisioni pubbliche nel nostro Paese, dato che non vogliono apparire nel Registro della trasparenza e nelle Agende degli incontri tra i decisori (ministri, alti dirigenti pubblici, parlamentari, sindaci) e i portatori di interessi.
Non da meno, andrà anche scongiurata l’eliminazione del periodo di “raffreddamento” tra l’incarico parlamentare e l’iscrizione al registro dei portatori di interessi. La proposta di legge prevedeva dovessero trascorrere 3 anni prima che un ex parlamentare e un ex ministro potessero svolgere attività di rappresentanza di interessi. Ma in Commissione si è mantenuto il divieto di un anno per gli ex membri del governo e si è eliminato per i parlamentari. Questo significa che - cessato l’incarico parlamentare - qualunque ex onorevole, compresi presidenti di commissione, relatori di importanti dossier, potranno diventare lobbisti influenzando le decisioni delle commissioni in cui avevano lavorato. Un vulnus inaccettabile per l’integrità delle istituzioni e per mettere tutti i portatori di interessi nelle stesse condizioni.
In vista del voto sulla proposta di legge la prossima settimana alla Camera, la coalizione #Lobbying4Change lancerà oggi un’azione di social e mail bombing per spingere le forze politiche che stanno sostenendo questo emendamento a cambiare rotta. Non vogliamo infatti lasciare nulla di intentato per evitare che soggetti come Confindustria, le associazioni imprenditoriali di ogni tipo e sigle sindacali di ogni genere, possano agire liberamente fuori dalle regole, mentre tutti gli altri avrebbero l’obbligo di lavorare, giustamente, in piena trasparenza.
Una situazione che non trova eguali nella maggior parte dei Paesi europei e che dovremmo evitare con ogni mezzo in vista delle decisioni delicate che verranno prese sul PNRR o sulla gestione della crisi pandemica, su cui già i Governi che si sono succeduti non hanno certo brillato per trasparenza.
n futuro, di fronte a scelte cruciali e impattanti sull’allocazione dei fondi per le infrastrutture, sui servizi per i cittadini e sulla sanità, sarà cruciale potere ricostruire come si sono svolti i processi decisionali, sapere se la società civile è stata coinvolta oppure no. È solo attraverso una cultura della responsabilità politica e la partecipazione diffusa ai processi decisionali che sarà possibile rilanciare il futuro del Paese in un momento così critico.