L'attività di
lobbying è parte integrante di una democrazia sana: consente ai politici di raccogliere le competenze di una serie di soggetti interessati e di prendere decisioni informate. Ma se non regolamentato, il lobbismo può avere conseguenze molto negative: leggi che privilegiano gruppi di interesse particolari, danni ambientali e socio-economici non controllabili e veri e propri casi di corruzione. Il
Dieselgate, i
Dossier Uber e il
Qatargate sono solo alcuni degli esempi delle conseguenze di regole deboli sulla rappresentanza degli interessi.
Come si presenta quindi la regolamentazione delle lobby nell'UE? In che misura le istituzioni sono protette da influenze indebite, nazionali o estere, in tutta l'Unione? Per ottenere una panoramica completa,
Transparency International EU ha analizzato i quadri normativi di tutti i 27 Stati membri e delle tre principali istituzioni dell'Unione Europea e ne ha valutate le norme in base a quattro standard, basati sul quadro semplificato definito nella pubblicazione
International Standards for Lobbying Regulation:
1 - Una definizione di lobbying ampia: le norme in materia di lobbying dovrebbero riferirsi a tutte le organizzazioni che cercano di influenzare il processo decisionale, comprese le aziende, le associazioni di categoria, le organizzazioni della società civile, le società di consulenza, gli studi legali, i think tank, le istituzioni accademiche e, ove possibile, i sindacati e i gruppi religiosi.
Solo 8 Stati membri e le istituzioni dell'UE hanno adottato una definizione ampia di tutti i lobbisti. Le definizioni restrittive sono un espediente che permette ad alcune organizzazioni di non essere trasparenti e responsabili rispetto alle loro attività di influenza.
2 - Un registro dei lobbisti pubblico e obbligatorio, che richieda informazioni chiave come le informazioni identificative di base, gli interessi rappresentati, le risorse finanziarie e umane coinvolte, le fonti di finanziamento, i clienti e le organizzazioni associate, ove applicabile.
La ricerca ha individuato
15 Stati membri con registri dei lobbisti accessibili al pubblico. Purtroppo, la portata e la qualità delle informazioni contenute variano notevolmente da Paese a Paese. Infatti,
solo 3 Stati membri, oltre alle istituzioni dell'UE, dispongono di registri dei lobbisti che coprono sia il ramo esecutivo che quello legislativo del governo e richiedono alle organizzazioni che fanno lobbying di fornire informazioni chiave sui loro interessi di
lobbying, comprese le informazioni finanziarie legate alle loro attività.
3 - Un Codice di condotta applicabile che vieti alcuni comportamenti, come fornire informazioni fuorvianti, pagare per l'accesso, ottenere risultati legislativi attraverso donazioni elargite o regali basati sul "do ut des", o nascondere gli interessi reali che una determinata organizzazione rappresenta (il cosiddetto "astroturfing").
I codici di condotta, abbinati a un solido sistema di monitoraggio e di sanzioni, sono fondamentali per prevenire l'influenza indebita nella rappresentanza degli interessi.
Solo 8 Stati membri hanno un Codice di condotta, così come il Registro dell'UE. Ma quando si tratta di garantire il rispetto di questi codici, le regole divergono ulteriormente:
3 Stati membri, così come le istituzioni dell'UE, lasciano l'applicazione del Codice di condotta all'autorità esecutiva o legislativa. Gli altri
5 Stati membri adottano la best practice di delegare la supervisione a un'autorità indipendente, che garantisca la corretta applicazione degli principi etici e norme di trasparenza.
4 - Una lobbying footprint sotto forma di pubblicazione proattiva aperta e accessibile delle informazioni sulle interazioni tra funzionari pubblici e rappresentanti di interessi. Queste possono assumere la forma di incontri, impronte legislative o attività di lobbying.
La pubblicazione delle interazioni tra funzionari pubblici e lobbisti è spesso l'ultimo pezzo del puzzle per completare un sistema di trasparenza e integrità. Solo
5 Stati membri e 2 istituzioni dell'UE hanno adottato la pubblicazione obbligatoria delle loro interazioni con i lobbisti. Ciò significa che pochissimi cittadini dell'UE possono chiedere conto ai lobbisti e ai politici delle decisioni prese per loro conto. Sebbene
3 Stati membri e un'istituzione dell'UE abbiano adottato un sistema volontario, questo porta spesso a un quadro incompleto delle attività di
lobbying.
I risultati dell'analisi di
Transparency International EU mostrano un panorama normativo europeo frammentato in materia di
lobbying:
15 Stati membri hanno adottato disposizioni obbligatorie o parzialmente obbligatorie in materia di
lobbying, i restanti
12 Stati membri non hanno alcuna normativa che regoli il lobbying, o hanno solo norme basate sulla natura volontaria.
Tra coloro che hanno adottato delle disposizioni, solo alcuni Stati membri o istituzioni dell'UE si avvicinano al raggiungimento di un quadro normativo completo in materia di
lobbying in tutti e quattro gli standard.
La trasparenza delle lobby dovrebbe essere un mero esercizio di spunta. Le norme non dovrebbero solo informare il pubblico su chi cerca di influenzare le decisioni pubbliche a proprio favore, ma anche imporre un comportamento etico nel farlo. Il quadro generale dell'UE evidenzia che la maggior parte dei quadri normativi esistenti non rispetta il minimo necessario richiesto per essere realmente efficace.I risultati dell'analisi sollevano quindi la questione del perché non esista una regolamentazione a livello europeo sulla trasparenza delle lobby. Norme armonizzate in tutta l'UE garantirebbero che i cittadini dell'Unione possano chiedere conto ai loro rappresentanti eletti, soprattutto in un momento in cui l'influenza negativa da parte di attori nazionali e stranieri sembra essere in aumento. Questo aspetto è particolarmente rilevante se si considera che
la Commissione esamina direttamente le norme sulle lobby nelle sue relazioni sullo stato di diritto a livello nazionale. L'analisi ha riscontrato un'elevata incoerenza, che indica
la mancanza di standard comuni con cui valutare le prestazioni degli Stati membri in materia di trasparenza delle lobby.
Le istituzioni dovrebbero essere protette da influenze indebite per garantire che le decisioni siano prese nell'interesse pubblico. Per questo è necessario che l'UE faccia un passo avanti: dobbiamo passare
da un approccio disordinato alla regolamentazione delle attività di lobbying a un quadro basato su standard comuni. I cittadini di tutta l'Unione meritano di sapere chi sta influenzando le politiche che li riguardano, e l'UE dovrebbe fare da apripista.
E l'Italia come si pone rispetto alla regolamentazione del lobbying?
L’Italia non dispone ancora di una regolamentazione complessiva sul
lobbying e
necessita di una legge organica che disciplini tutti gli aspetti dei rapporti tra rappresentanti di interessi e decisori pubblici.
Un tentativo di regolare la materia è stato fatto dal Parlamento: nel 2016 la Camera dei Deputati ha approvato la modifica al proprio regolamento interno prevedendo l’istituzione di un registro dei lobbisti. Si tratta di un registro non obbligatorio e di difficile consultazione il cui numero degli iscritti non è particolarmente alto: ad oggi ci sono 439 portatori di interessi registrati (365 persone giuridiche e 74 persone fisiche).
Anche presso i Ministeri ci sono stati dei tentativi di approccio alla materia. Tra i Ministeri più virtuosi, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE) si è dotato, a partire dal 2016, di un Registro della trasparenza pubblicato in formato elettronico. Per lo stesso Ministero è pubblico anche il Calendario degli incontri con i portatori di interessi, nel quale, però, non è specificato l’oggetto dell’incontro e il cui ultimo aggiornamento risale a dicembre 2023.