Il Decreto Legislativo n.24/2023 costituisce la normativa di attuazione nel nostro Paese della Direttiva Europea n.1937/2019 in materia di whistleblowing, sostituendo le disposizioni in materia previste dalla Legge n.179/2017 per il settore pubblico e dal Decreto Legislativo n.231/2001 per il privato.
La normativa italiana, in conformità alle disposizioni dettate dalla Direttiva Europea n.1937/2019 in materia di whistleblowing, pone quale obiettivo primario la creazione di standard normativi minimi comuni, volti ad uniformare il regime di protezione per i whistleblower che segnalano illeciti di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito della propria attività lavorativa.
La trasposizione della normativa comunitaria nell’ordinamento giuridico italiano, con il Decreto Legislativo n.24/2023, ha determinato delle difformità, alcune delle quali integrano una violazione dell’art. 25 della Direttiva e violano l’applicazione della clausola di non regressione dei diritti attribuiti, volti a disporre un trattamento più favorevole nei confronti del segnalante.
Il recepimento della normativa determina, su alcuni aspetti, una regressione dei diritti attribuiti alle persone segnalanti rispetto al precedente sistema, traducendosi in un regime meno favorevole per i whistleblower.
Abbiamo scritto una lettera alla Commissione Europea con i punti più rilevanti dell'analisi dei testi normativi, con particolare riferimento all’ambito di applicazione oggettivo, all’ambito di applicazione soggettivo, alle condizioni di protezione del segnalante, ai canali esterni di segnalazione e, da ultimo, alle sanzioni.
Di seguito è possibile navigare in maniera schematica le difformità e le violazioni tra la Direttiva europea e la Normativa nazionale
DIFFORMITÀ TRA LA DIRETTIVA EUROPEA E LA NORMATIVA NAZIONALE ITALIANA
L’art. 4 della Direttiva Europea prescrive l’ambito di applicazione soggettivo della normativa in materia di whistleblowing, la quale trova applicazione nei confronti dei lavoratori che espletano la propria attività lavorativa nell’ambito del settore pubblico e del settore privato.
Tale normativa è volta a tutelare anche i dipendenti pubblici, i lavoratori autonomi, gli azionisti e le persone che assumono funzioni di coordinamento e controllo, i volontari, i tirocinanti, nonché coloro il cui rapporto è terminato o, in alternativa, deve ancora iniziare.
Il recepimento della Direttiva Europea nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano ha determinato una difformità che integra una violazione, posto che, la legislazione interna non delinea un ambito applicativo uniforme per il settore pubblico e per il settore privato, così come definito, invece, dal legislatore sovranazionale.
Nel Capo III della Direttiva Europea in esame - Segnalazione esterna e relativo seguito - il legislatore sovranazionale chiarisce la funzione e le modalità di impiego del canale esterno di segnalazione riconosciuto a favore del segnalante.
In particolare, l’art. 10 prescrive l’uso del canale esterno di segnalazione, il quale può essere adoperato direttamente dal whistleblower quale canale primario preferenziale, oppure dopo aver utilizzato il canale interno di segnalazione.
Su questo punto, il recepimento della Direttiva Europea nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano ha determinato una difformità normativa, posto che il legislatore nazionale ha previsto la facoltà di adire il canale esterno di segnalazione quando ricorrono specifici presupposti.
Appare dunque singolare la rubrica dell’art. 6 del Decreto Legislativo n.24/2023 intitolato volutamente Condizioni per l’effettuazione della segnalazione al fine di mettere in evidenza la sussistenza di specifici requisiti cui subordinare la scelta del canale di segnalazione da parte del segnalante.
Il legislatore sovranazionale, nell’ambito delle misure di protezione del segnalante, traccia le sanzioni previste nei confronti di coloro che utilizzano impropriamente la segnalazione, attuano misure ritorsive, intraprendono procedimenti vessatori o violano l’obbligo di riservatezza circa l’identità del segnalante. In tali casi, la normativa comunitaria impone l’adozione di misure volte a sanzionare gli autori di tali condotte, attraverso la previsione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.
Nell’esperienza nazionale, la trasposizione della già menzionata disposizione si è mostrata di scarsa applicazione, a tal punto da ingenerare una vera e propria violazione della Direttiva Europea in esame.
L’art. 21 del Decreto Legislativo n.24/2023 delinea le sanzioni amministrative pecuniarie previste in caso di violazioni negli enti pubblici e per gli enti del settore privato che dispongono di un Modello Organizzativo 231. Gli enti del settore privato che non dispongono di un MOG 231 non sono tenuti a disporre di un apparato sanzionatorio.
Inoltre, la normativa nazionale prevede una sanzione per coloro che segnalano illeciti e divengono responsabili dei reati di calunnia o di diffamazione.
La predisposizione di tale regime sanzionatorio viola le prescrizioni impartite dal legislatore comunitario atteso che le sanzioni delineate non appaiano effettive, proporzionate e dissuasive.
VIOLAZIONE ART. 25 DELLA DIRETTIVA EUROPEA N. 1937/2019
L’art. 2 della Direttiva Europea n.2019/1937 disciplina l’ambito di applicazione oggettivo della normativa in esame, la quale trova applicazione avverso le violazioni inerenti agli atti dell’Unione Europea, agli interessi finanziari dell’Unione, al mercato interno, alla concorrenza ed agli aiuti di Stato.
Tale ambito applicativo, come precisato al paragrafo 2 dell’articolo di riferimento, non pregiudica a ciascun Stato membro di estendere detto ambito applicativo ad altri settori o materie previste dal diritto interno.
Il recepimento della Direttiva Europea ha determinato all’interno dell’ordinamento giuridico italiano alcune difformità, poiché, pur estendendo l’ambito applicativo previgente, esclude dallo stesso le mere irregolarità amministrative, classificate nelle ipotesi di maladaministration.
L’art. 1 del Decreto Legislativo n.24/2023 delinea l’ambito applicativo oggettivo della normativa nazionale, la quale trova applicazione per le violazioni inerenti alle disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità̀ dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato.
La normativa nazionale, dunque, circoscrive l’ambito applicativo oggettivo alle sole violazioni inerenti alle disposizioni nazionali o dell’Unione Europea, non menzionando le condotte aventi ad oggetto mere irregolarità amministrative.
L’art. 1 della previgente Legge n.179/2017 faceva riferimento alle segnalazioni effettuate dal lavoratore del settore pubblico che, nell’ambito del rapporto di lavoro, viene a conoscenza di condotte illecite.
La finalità di tale segnalazione si riconosce nella volontà di salvaguardare l’integrità della pubblica amministrazione, attraverso la segnalazione di qualsiasi condotta illecita, incluse le irregolarità amministrative.
L’art. 6 della normativa sovranazionale disciplina le condizioni di protezione del segnalante quando lo stesso attua una segnalazione con fondato motivo di ritenere che l’oggetto della segnalazione fosse vera al momento della segnalazione e che rientrasse nell’ambito applicativo della direttiva in esame, avvalendosi dell’utilizzo di un canale interno o esterno di segnalazione o, in alternativa, del metodo della divulgazione pubblica. Il medesimo articolo disciplina anche le segnalazioni anonime.
Il recepimento di tale disposizione all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, tuttavia, ha comportato la creazione di un regime normativo difforme rispetto a quello previsto e tracciato dal legislatore comunitario, posto che, subordina il regime di protezione del segnalante ad una valutazione soggettiva - puramente discrezionale - circa la fondatezza della veridicità di quanto segnalato, valutazione sussistente al momento della segnalazione.
L’art. 16 della normativa nazionale traccia le condizioni di protezione del segnalante che si conservano al momento della segnalazione. Nel caso in cui ci sia il fondato motivo di ritenere che le informazioni oggetto di violazioni siano vere e rientrino nell’ambito applicativo oggettivo della normativa in esame.
Tale innovazione legislativa - benché conforme alle disposizioni contenute nel considerando 32 e nell’art. 6 delle disposizioni comunitarie – subordina la segnalazione ad una valutazione di carattere soggettivo, quale il fondato motivo di ritenere che le violazioni, oggetto di segnalazione, siano vere e rientranti nell’ambito applicativo oggettivo di tutela.
Sul punto, la disciplina previgente riconosceva la tutela del whistleblower in seguito alla segnalazione di condotte illecite senza valutare le motivazioni personali dietro la stessa.
L’art. 1 della Legge n.179/2017 sancisce che “il dipendente pubblico che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza […] ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (A.N.AC.), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”.
Appare evidente l’assenza di valutazioni di natura soggettiva circa la fondatezza della segnalazione da parte del segnalante, il quale è tenuto a segnalare gli illeciti di cui è venuto a conoscenza nell’ambito lavorativo.
Gli artt. 10 e 12 della Direttiva Europea delineano l’uso del canale esterno di segnalazione adottato dal segnalante per effettuare la segnalazione, al quale viene riconosciuta la facoltà di ricorrervi quale canale preferenziale primario o dopo aver utilizzato il canale interno di segnalazione preposto.
La trasposizione di tali articoli nell’ordinamento giuridico italiano limita la facoltà di scelta riconosciuta nei confronti del segnalante, predisponendo dei requisiti necessari al fine di poter ricorrere al canale esterno di segnalazione.
In particolare, il legislatore nazionale impone a carico del segnalante di ricorrere al canale esterno di segnalazione nel caso in cui il canale interno di segnalazione sia insussistente o inattivo, si assista ad un mancato seguito della segnalazione interna o si ravvisi la sussistenza di un “fondato motivo di ritenere inefficace la segnalazione interna”, rischio di ritorsione, pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, facendo ricadere sul segnalante il regime dell’onere della prova.
Sul punto, si registra una regressione, posto che, la normativa previgente non riconosceva nei confronti del segnalante alcun onere probatorio.