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Al di là delle modifiche apportate ad ogni singola area, dal decreto emerge la volontà del legislatore di dare un forte impulso ai riti alternativi rispetto a quello ordinario.
Le motivazioni che ci portano a condividere alcune riflessioni sono principalmente due.
In primo luogo, ancora una volta è stata rilevata la mancanza di un vero e proprio dibattito pubblico su materie rilevanti, nonché un processo di consultazione, probabilmente a causa del momento particolarmente ravvicinato al termine della legislatura durante il quale è stato avviato e concluso l’iter di approvazione del decreto.
In secondo luogo, vengono modificate norme in ordine alla confisca ed alle pene accessorie anche in relazione a possibili reati di corruzione, aspetto che ci obbliga a prestare molta attenzione alle novità introdotte.
Insieme a quattro avvocati penalisti abbiamo cercato di riflettere su quali conseguenze potrebbe produrre il decreto; si tratta di valutazioni preliminari, quasi immediate, rispetto al testo approvato. I quattro professionisti che ci hanno offerto il loro commento, e che ringraziamo, sono Francesca Petronio, Fabrizio Sardella, Guido Settepassi e Piergiorgio Weiss.
I punti affrontati sono essenzialmente tre:
La Riforma Cartabia, in considerazione della nota lentezza dei procedimenti giudiziari nel nostro Paese, vuole promuovere l’utilizzo di strumenti di giustizia negoziata, riducendo il ricorso al rito ordinario. Nella sua impostazione, tale modifica dovrebbe contribuire a rendere non solo più fluido il processo ma anche più efficiente l’intero sistema giudiziario. In altri termini, si vorrebbe combinare l’appetibilità della fuga dal processo e il maggior rigore (Piergiorgio Weiss). Convincere le parti, il giudice e l’accusa del taglio del rito ordinario garantirebbe maggiore produttività.
Fissato l’obiettivo, centrale è la modalità con cui tale obiettivo si raggiunge: punire velocemente e in forma lieve un imputato potenzialmente innocente non risponde all’interesse dei consociati e dello Stato (Fabrizio Sardella). Quest’ultimo deve infatti sempre agire tenendo a mente non solo la proporzionalità della pena ma anche l’esigenza di una equa giustizia.
Nondimeno, è opportuno considerare l’orientamento politico particolare del governo che ha prodotto il decreto, in aggiunta alla cornice normativa in cui questa modifica ha preso piede. In particolare, occorre che il legislatore si muova senza ledere i principi cardine del nostro ordinamento, tra cui la presunzione di non colpevolezza, la funzione rieducativa della pena, nonché la funzione cognitiva del procedimento penale (Francesca Petronio).
Considerati l’obiettivo, le modalità, il contesto, si ricerca un equo bilanciamento (Guido Settepassi) sempre nell’ottica di garantire la persona che si trova al centro del processo.
La Riforma Cartabia introduce la possibilità di estendere il patteggiamento, nonché l’accordo tra pubblico ministero e imputato, alla confisca facoltativa, alla determinazione del suo oggetto e del suo ammontare. Tale possibilità è prevista anche per le pene accessorie e la loro durata. Sul punto, le riflessioni proposte sono di taglio molto diverso.
Da un lato si ritiene ragionevole che le sanzioni accessorie e la confisca facoltativa possano essere oggetto di confronto tra il pubblico ministero e l’imputato (Fabrizio Sardella); ciò nella misura in cui l’accusa identificherebbe adeguatamente l’ammontare del vantaggio economico conseguito tramite reato e il giudice valuterebbe e deliberebbe il patteggiamento.
D’altra parte, si ritiene opportuno fare un distinguo tra le due casistiche: confisca facoltativa e pene accessorie.
Nel primo caso, permettere di conoscere in anticipo cosa succederà senza aspettare la scelta di confisca o meno da parte del giudice è sinonimo di maggiore certezza dell’esito complessivo del procedimento penale (Guido Settepassi). In altre parole la possibilità di conoscere in anteprima il vicino futuro potrebbe alleviare lo stato della persona coinvolta.
Nel secondo caso, invece, essendo i potenziali benefici di portata forse un po’ troppo ampia (Guido Settepassi), si ravvisano maggiori preoccupazioni. Un esempio da menzionare è quello relativo ai reati di bancarotta, per cui il fallito raggiunge un accordo senza interdizione dai pubblici uffici (Piergiorgio Weiss).
Con la riforma Cartabia vengono poi ridotti gli effetti extra-penali della sentenza in caso di patteggiamento. Sul punto vale la pena considerare almeno due prospettive diverse.
La prima assume come punto di partenza la differente connotazione attribuita al vaglio del giudice: nel caso della proposta di patteggiamento, l’esame e la valutazione di merito sono notevolmente meno approfondite rispetto al rito ordinario. In ragione di ciò, è corretto che la sentenza di condanna produca effetti solo in ambito penale (Fabrizio Sardella).
Non considerando la natura del vaglio, la modifica del patteggiamento come proposta si traduce in una sorta di impunità a 360 gradi (Piergiorgio Weiss): il patteggiamento che preveda l’esclusione di pene accessorie avrà un effetto ridotto, dal momento in cui non sarà equiparabile a una sentenza di condanna con effetti ulteriori in ambiti altri rispetto a quello penale.
La modifica in termini di effetti della sentenza di patteggiamento viene accolta positivamente anche nei reati di impresa, dal momento in cui l’ostacolo all’accesso al rito alternativo è stato spesso rappresentato proprio dall’incontrollabilità dei potenziali effetti della sentenza di patteggiamento in sede extra-penale inclusi i non trascurabili effetti reputazionali (Francesca Petronio).
Alla luce delle considerazioni che abbiamo presentato, l’attenzione si rivolge sulla dubbia natura della relazione tra l’ampliamento dei riti alternativi procedimenti penali e l’efficienza del processo. Ci si domanda se in termini reali, e non solo potenziali, un ricorso maggiore a procedimenti penali alternativi si traduca in una maggiore efficienza.
E ancora se il nuovo patteggiamento possa davvero essere utile, non solo per difensori, imputati e pubblico ministero ma anche per i giudici. In altri termini si discutono le strade perseguite o almeno l’incisività delle modalità adottate anche in considerazione delle condotte di disvalore toccate.
A quest’ultimo riguardo, il rischio sarebbe – soprattutto nei reati di corruzione - quello di un bilanciamento poco adeguato tra l’acquisizione di consapevolezza della condotta compiuta da parte dell’imputato, il tipo di sanzione e la velocità del processo.