Un Report della Commissione analizza le leggi di trasposizione della Direttiva europea negli Stati membri e raggruppa le principali criticità riscontrate nella maggior parte delle legislazioni nazionali.
Il 3 luglio 2024 la Commissione Europea ha pubblicato un report esplicativo che traccia i limiti attuativi e applicativi della Direttiva n.1937/2019 in materia di whistleblowing da parte dei singoli Stati membri dell’Unione europea. Si chiama Report on the transposition of the Whistleblower Protection Directive (Directive 2019/1937 (EU)) on the protection of persons who report breaches of Union law.
L’attività di reportage effettuata dalla Commissione analizza le leggi di trasposizione della Direttiva europea negli Stati membri e raggruppa le principali criticità riscontrate nella maggior parte delle legislazioni nazionali. Gran parte degli Stati risultano imprecisi nell'adozione della normativa e questo evidenzia la presenza di alcuni dettati normativi sovranazionali poco chiari, che hanno condotto all’elaborazione di principi normativi difformi dalle intenzioni del legislatore comunitario.
Il report si è concentrato sulle principali criticità riscontrate dalla Commissione nelle procedure di trasposizione della normativa sovranazionale, ravvisate in particolare nell'ambito di applicazione oggettivo; nei canali di segnalazione interni ed esterni; nelle condizioni per la protezione del segnalante e nelle sanzioni. Le stesse criticità sono state affrontate dall'analisi che abbiamo inviato alla Commissione europea a giugno, nella quale abbiamo rappresentato compiutamente quelle che a nostro parere sono le difformità ovvero le violazioni della normativa nazionale italiana rispetto alle disposizioni contenute nella Direttiva europea.
Nella sua analisi la Commissione europea non ha indicato specificamente lo Stato membro di riferimento ma le criticità rilevate dall’Unione Europea possono essere riferibili anche alla legge di trasposizione da parte dell’Italia. Il nostro commento le analizza in relazione al Decreto legislativo n.24/2023 che costituisce la normativa di attuazione nel nostro Paese della Direttiva in materia di whistleblowing.
Il report della Commissione si incentra anche sulla procedura di segnalazione interna, sulla gestione della segnalazione anonima, sul rispetto dell’obbligo di riservatezza e sulle misure di protezione e sostegno previste a favore del segnalante. Questi ambiti non sono stati oggetto di indagine e di approfondimento della nostra analisi in considerazione della conformità della normativa nazionale a quella sovranazionale.
La Direttiva europea individua l’ambito di applicazione oggettivo della normativa in esame attraverso un’indicazione puntuale delle violazioni passibili di segnalazione.
Tuttavia, la procedura di trasposizione della normativa da parte della maggior parte degli Stati membri non è avvenuta in modo conforme, considerato che si è assistito ad una concezione più restrittiva di “violazione”. Esse non si estendono a taluni settori che vengono indicati dalla normativa sovranazionale e dagli allegati alla stessa. Taluni Stati membri, per esempio, non hanno recepito in modo corretto i settori menzionati nell’art. 2 della Direttiva, con particolare riferimento alle violazioni degli interessi finanziari dell’Unione Europea o alle violazioni del mercato interno.
La Direttiva europea prescrive il riconoscimento delle tutele a favore del whistleblower in relazione al «fondato motivo di ritenere veritiere le informazioni al momento della segnalazione».
Tale protezione viene riconosciuta anche qualora il segnalante incorra in un errore di valutazione del “fondato motivo di ritenere”, allorquando risulti dettato da buona fede. I motivi che inducono il whistleblower ad effettuare la segnalazione, secondo il dettato sovranazionale, sono irrilevanti.
La trasposizione di detta disposizione all’interno dell’ordinamento giuridico dei singoli Stati membri si è rivelata piuttosto difficile poiché la maggior parte ha posto l’accento sui motivi che spingono il segnalante ad effettuare la segnalazione, ritenendoli, di contro, rilevanti.
La Direttiva europea concede al segnalante la possibilità di ricorrere liberamente al canale interno o al canale esterno di segnalazione.
Secondo la disamina della trasposizione condotta da gran parte degli Stati membri, invece, vengono imposte talune condizioni specifiche per ricorrere al canale esterno di segnalazione.
Particolare attenzione viene dedicata alla condivisione dei canali di segnalazione da parte dei gruppi di imprese afferenti al settore privato che dispongono di un numero di dipendenti ricompresi tra 50 e 249.
Tale parte della normativa non è stata recepita in modo conforme da gran parte degli Stati membri, posto che queste abbiano previsto la creazione di un unico canale interno di segnalazione per la società capogruppo, anziché disporre la creazione di un canale (interno) aggiuntivo per ciascuna società. Il canale interno della capogruppo può essere adito da ciascun lavoratore della società appartenente al gruppo. Tuttavia, una previsione normativa in tal senso contrasta con il dettato prescritto dal legislatore comunitario, il quale intendeva prevedere canali interni di segnalazione per ciascuna società ovvero un canale interno di segnalazione per la società capogruppo.
La Direttiva europea prescrive l’adozione di sanzioni proporzionate, effettive e dissuasive nei confronti di coloro che pongono in essere condotte contra legem, volte ad ostacolare o tentare di ostacolare una segnalazione, che violano l’obbligo di riservatezza dell’identità del segnalante e dei soggetti coinvolti nella segnalazione e, da ultimo, che attuano procedimenti vessatori o dispongono di misure ritorsive.
Al riguardo, la procedura di trasposizione della disposizione dalla maggior parte degli Stati membri è risultata inadeguata agli standard normativi previsti dall’Unione Europea, in quanto non hanno definito compiutamente il concetto di «sanzione».
Il trattamento sanzionatorio previsto, di conseguenza, appare tutt’altro che proporzionato, effettivo e dissuasivo, posto che le sanzioni elaborate dagli Stati membri risultano di lieve entità.
L’ambito di applicazione oggettivo tracciato nel D. Lgs. n.24/2023 consente di segnalare le violazioni inerenti al diritto nazionale e/o dell’Unione europea e che, come tali, minano a ledere l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’impresa.
Tuttavia, nel novero delle violazioni non figurano più le ipotesi di maladaministration ovvero le irregolarità amministrative.
Si assiste ad un restringimento dell’ambito di applicazione oggettivo della normativa nazionale rispetto alla normativa europea ed al sistema nazionale previgente, determinando, di conseguenza, una vera e propria regressione nel panorama italiano.
Le condizioni per la protezione del segnalante tracciate nel D. Lgs. n.24/2023 vengono subordinate all’individuazione di un «fondato motivo di ritenere veritiere le informazioni al momento della segnalazione» e che, come tali, «rientrano nell’ambito di applicazione della normativa».
La normativa nazionale, benché conforme alle disposizioni sovranazionali, assoggetta il riconoscimento delle tutele del segnalante ad una valutazione soggettiva, prettamente e puramente discrezionale.
Ciò, invero, delimita la protezione del whistleblower che, di contro, veniva tutelato maggiormente dall’assetto normativo previgente, nel quale non veniva individuata una “condizione soggettiva”, bensì era sufficiente effettuare una segnalazione inerente ad una violazione individuata nel novero dell’ambito di applicazione oggettivo.
Il canale di segnalazione esterno, così come tracciato nel D. Lgs. n.24/2023, può essere adito nel caso:
Il legislatore nazionale, sul punto, individua delle «condizioni» a seguito delle quali è possibile ricorrere al canale esterno di segnalazione.
Ciò, oltre a contrastare con il dettato sovranazionale, determina anche una regressione nel sistema italiano, posto che la normativa previgente consentiva al segnalante di ricorrere liberamente il canale esterno quale alternativa al canale interno.
In riferimento alla condivisione del canale da parte di una società capogruppo e di una società facente parte del gruppo, la normativa nazionale si rimette alla normativa sovranazionale, rilevandone le medesime criticità.
Il D. Lgs. n.24/2023 delinea un apparato sanzionatorio nei confronti di coloro che attuano misure ritorsive, violano l’obbligo di riservatezza, tentano di ostacolare od ostacolano la segnalazione. Le sanzioni erogate sono di natura amministrativa e di carattere pecuniario e vengono impartite nei confronti dell’autore che causa l’inosservanza di una delle condizioni sopra prescritte.
Preme rilevare, tuttavia, che dette sanzioni, benché in astratto vengono descritte come proporzionate, effettive e dissuasive, in concreto risentono di scarsa applicazione poiché la loro applicazione è circoscritta ai soli enti pubblici ed agli enti privati che detengono il MOG 231. Questi enti in rare ipotesi divengono destinatari di sanzioni amministrative di carattere pecuniario che, comunque, risultano essere prossime al minimo edittale e, come tali, non delineano un’efficacia deterrente dalla commissione di condotte antigiuridiche.