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Storie di whistleblowing

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Società civile
Whistleblowing

La storia di un licenziamento "per giusta causa"

Questa storia di whistleblowing nasce dalla segnalazione di un whistleblower che si è conclusa con licenziamento "per giusta causa". Nel compilare un sondaggio aziendale un dipendente ha manifestato un problema di relazione con il proprio superiore. Il sondaggio avrebbe dovuto salvaguardare l’anonimato dei lavoratori ma così non è stato e il dipendente è stato identificato. Le problematiche con il superiore si sono inasprite, al punto che il lavoratore ha deciso di segnalare la situazione attraverso il canale interno di whistleblowing. Quasi in contemporanea per lui sono scattati: un provvedimento disciplinare (prima) e il licenziamento per giusta causa (poi). 
 
Il lavoratore ha deciso di impugnare il provvedimento di licenziamento considerandolo una ritorsione dovuta alla segnalazione di whistleblowing. La sentenza del Tribunale di Milano ha verificato la corretta applicazione delle norme in materia di licenziamento e di segnalazione di illeciti ma la natura legittima o illegittima del licenziamento è stata valutata rispetto all’art. 17 della normativa sul whistleblowing e non rispetto al principio di carattere generale. 
 
Per un lavoratore è complicato dover dimostrare di essere stato discriminato a causa di una propria segnalazione. Per questo la legge ha cercato di rispondere a questo squilibrio ponendo in capo al lavoratore l’onere di provare la consequenzialità dell'azione discriminatoria rispetto alla segnalazione di possibili illeciti e in capo al datore di lavoro l’obbligo di dimostrare la non consequenzialità delle misure disciplinari con la segnalazione (inversione dell'onere della prova), oltre a documentare la legittimità delle misure con motivazioni altre rispetto al whistleblowing. 

La prima sentenza significativa per il whistleblowing in Italia 

La sentenza n. 1680 del 2025, emessa dal Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, rappresenta un precedente giurisprudenziale significativo per il whistleblowing. 

Per la prima volta dall’approvazione del decreto di attuazione della Direttiva UE 1937/2019 sul whistleblowing è stato interpretato correttamente il principio dell’inversione dell’onere della prova, facendolo ricadere sul datore di lavoro anziché sul lavoratore. L’art. 17, co. 2, D. Lgs. 24/2023 sul whistleblowing afferma che «l’onere di provare che (tali) condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione pubblica o alla denuncia è a carico di colui che li ha posti in essere», ovvero in capo all’autore della misura ritorsiva e/o discriminatoria attuata nei confronti del segnalante.  
  
Questo principio trova finalmente applicazione in un caso pratico e offre al whistleblower la tutela prevista dalla normativa di riferimento. Una tutela che per lungo tempo era rimasta inapplicata. Ora, grazie a questa pronuncia si assiste ad un ribaltamento del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere della prova ricade su colui che intende far valere il diritto che si presume leso e/o violato.   
 
Negli ultimi anni, l’erronea interpretazione e la conseguente (in)applicazione del principio tracciato dalla normativa sulla segnalazione di illeciti ha impedito la protezione di tanti whistleblower, discriminati a causa delle misure ritorsive attuate nei loro confronti per il solo fatto di aver effettuato una denuncia di illeciti ed aver adempiuto ad un dovere civico. 

 


ALAC - Allerta anticorruzione

Il servizio di assistenza para-legale per coloro che sono testimoni o vittime di casi di corruzione o altri illeciti contro l’interesse pubblico.
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